Cristina Lunardini intervistata dal Giornale d’Italia

Prendete un litro d’amore per la cucina, versatelo in una scodella e aggiungete cento grammi di passione, una manciata d’esperienza e due bicchieri colmi d’emozioni. Mescolate per qualche minuto e otterrete Cristina Lunardini, il volto romagnolo della cucina italiana – conosciuta dal grande pubblico per le sue trasmissioni su AliceTv e per la sua popolarissima rubrica sulla rivista Alice Cucina – due occhioni azzurri come il cielo che sovrasta la riviera romagnola, incorniciati in un sorriso che è l’inconfondibile marchio di fabbrica della sua terra. Una storia, la sua, che ci piace perché è il frutto di un percorso cominciato da lontano, con il diploma alberghiero a Riccione, e continuato con corsi di specializzazione presso le più prestigiose strutture internazionali. Gira che ti rigira, però, Cristina consolida la convinzione di non prescindere in alcun modo dalle sue radici, che la legano indissolubilmente alla sua terra.  Tradizione e innovazione, insomma. Così, oltre ad affinare le sue tecniche, intraprende anche la carriera da docente, proprio in quell’istituto alberghiero di Riccione che alcuni anni prima frequentava come studente.

«Insegnare è il modo migliore per condividere, e condividendo con i nostri ragazzi tramandiamo a loro il nostro sapere e la nostra esperienza perché continui anche oltre noi», spiega subito Cristina, che siamo venuti a trovare nella hall del Duparc Hotel di Gabicce Mare, il  luogo in cui, da due anni a questa parte, ha scelto di lavorare come Chef Executive per la stagione estiva, curando personalmente ogni dettaglio dei menu del Ristorante dell’hotel, il Maremosso, dove i clienti ovviamente estasiati dalla sua cucina non perdono mai occasione per ringraziarla e salutarla. Il bella vista, sul bancone della reception, campeggiano alcune copie del suo libro di ricette “Romagna Mia”, una sorta di manifesto gastro-emozionale del Lunardini-pensiero.

Cristina, cominciamo proprio da qui, dalla “tua” cucina…

La cucina romagnola è ricca di sapori, condimenti e di piatti legati alle ricorrenze, questo mi piace molto, soprattutto, rimarcare una ricorrenza con un piatto è già una festa.  Mi diverto molto a giocare con la pasta fresca, creando colori e sapori nuovi: ultimamente faccio dei cappellacci di pasta al cacao ripieni di squacquerone e saltati con guanciale croccato e scaglie di formaggio di fossa.

Come vivi il tuo rapporto con la cucina?

La cucina per me non è mai stata solo un lavoro, ma una parte molto importante della vita. Ha sempre rappresentato la condivisione di momenti importanti: regalare del cibo cucinato con le proprie mani è forse tra i più bei gesti d’affetto. Dopo aver fatto un lungo percorso attraverso diverse cucine, per provare a imparare tutti i segreti di questa arte da chi ne sa più di me, mi sono ritrovata nel luogo da cui ero partita. Ecco perché amo la cucina della tradizione, quella delle nostre radici quella che ti rievoca ricordi e affetti, a dimostrazione che quello tra il cibo e amore è un legame profondo.

Questo legame con le tue radici mi piace molto. Quali sono gli elementi per far sì che la tradizione possa essere correttamente interpretata e tramandata come fai tu?

Oltre alla passione per una buona cucina sono importanti la qualità delle materie prime, una buona tecnica di lavorazione e una particolare attenzione alla cottura dei cibi, per rispettare al meglio le caratteristiche degli alimenti. I buoni piatti, le cose cucinate con cura e con amore sono attimi per me legati alla sfera degli affetti familiari. Un buon boccone mi fa pensare alle coccole materne, ed ecco perché ancora oggi mi ritrovo a preferire la crostata con la marmellata di albicocche rispetto a tanti altri dolci! Mi ricorda la domenica mattina, il giorno più bello della settimana, quando mia madre cucinava qualcosa di speciale per onorare il clima di festa. Le lasagne, il pollo ripieno e infine la crostata, rigorosamente con marmellata di albicocche fatta in casa. Un sapore che, come i bei momenti, non scorderò mai.

Irene Colombo per Il Giornale d’Italia del 10 luglio 2016